Retribuzioni pubbliche fuori controllo o al di sotto del costo della vita?

Nel pubblico impiego esistono differenze retributive tra i quattro comparti anche per mansioni e profili professionali identici.

Una delle annose discussioni riguarda il rapporto tra retribuzione contrattuale e retribuzione di secondo livello che a detta delle organizzazioni sindacali rappresentative insieme consentirebbero il recupero del potere di acquisto.

Ma resta innegabile che proprio gli stipendi tabellari e l’indennità di vacanza contrattuale, alla base dei contratti, siano calcolati al ribasso e alcune voci accessorie, demandate dal CCNL alla contrattazione decentrata o di secondo livello, vengono gestite in maniera sperequativa dividendo la forza lavoro. Esistono varie tipologie di indennità di amministrazione/ente o comparto previste nei CCNL ma pensare che i differenziali stipendiali siano fuori controllo innalzando la spesa di personale è una mera invenzione.

Molti dipendenti pubblici ad esempio innalzano il loro salario ricorrendo agli straordinari e negli enti locali ad alcune indennità o progetti incentivanti che tuttavia riguardano una esigua minoranza del personale. Calcolare l’insieme delle voci retributive, quelle del contratto nazionale e quelle disciplinate dalla contrattazione di secondo livello, non aiuta a cogliere il reale potere di acquisto dei salari pubblici ma si presta invece ad operazioni di contenimento della spesa con riduzioni salariali e operazioni perequative dall’alto che poi adegueranno i salari nel loro complesso ai livelli più bassi.

Da anni l’Aran invoca attenzione al secondo livello di contrattazione ma non si capisce con quale coerenza e criteri visto che la dinamica propria dei contratti è stata costruita ad arte per dividere la forza lavoro con indennità di comparto finalizzate a scongiurare ogni rivendicazione avanzata e complessiva della forza lavoro.

Governi e tecnici vanno quindi perorando la causa perequativa non per evitare diseguaglianze economiche ma per livellare al ribasso la dinamica salariale e contrattuale. Non sono certo equità e salvaguardia del potere di acquisto i fari guida dell’Aran, va detto con assoluta chiarezza pensando a come sono stati gestiti i rinnovi contrattuali degli ultimi lustri.

Nel settore pubblico sono prevalse logiche ben poco unitarie anche e soprattutto per ignavia sindacale, la contrattazione di secondo livello è di per sé divisiva, strutturata come è sulla performance e con un fondo della produttività che destina risorse economiche crescenti a una minoranza di personale. È indubbia la responsabilità dei sindacati rappresentativi: nel corso degli anni hanno reiterato logiche divisive, corporative, meritocratiche evitando di introdurre la quattordicesima mensilità che manca al settore pubblico, dentro un impianto contrattuale in cui è stato eroso non solo il potere di acquisto ma anche quello di contrattazione con innumerevoli materie oggetto di sola informazione. 

I salari pubblici hanno subito a inizio secolo un autentico tracollo con i 9 anni di blocco della contrattazione, sostenere che in questi anni il salario di fatto sia cresciuto stride con i fatti ossia con l’impossibilità materiale di accrescere le stesse risorse destinate alla produttività generale.

Diffusa è l’idea tuttavia che i salari siano comunque cresciuti nel corso degli anni, gli aumenti contrattuali sono stati un terzo della inflazione reale. 

L’ Aran interviene, a gamba tesa, analizza le tornate contrattuali tra il 2016/18 e il 2019/21 per dimostrare come un aumento dei salari deciso a livello nazionale inferiore al 3,50% (ora si comprende la causa della perdita di potere di acquisto visto il costo della vita pari a oltre il doppio di questa percentuale) sia invece compensato da una contrattazione di secondo livello fuori controllo

In estrema sintesi questo intervento dell’Aran, per conto del Governo, si prefigge alcuni obiettivi quali un sostanziale riordino delle dinamiche contrattuali nella PA giudicando alcuni comparti particolarmente ricchi al cospetto di altri nell’ottica di compensare il finanziamento delle progressioni con un sostanziale impoverimento del Fondo della produttività da cui dipende buona parte del salario accessorio.

Altro aspetto significativo di questa confusione strategica è dato dagli stipendi dirigenziali che concorrono alla spesa di personale della PA ma sono disciplinati da appositi contratti con risorse di gran lunga superiori rispetto a quelle erogate al restante personale.

Da almeno 3 anni viene ripetuto che bisogna rendere attrattivo il lavoro nella Pubblica Amministrazione e in particolar modo negli enti locali che perdono mediamente 10 mila dipendenti all’anno essendo per altro il fanalino di coda nelle retribuzioni pubbliche.

Gli organici della PA hanno subito complessivamente una lenta e inesorabile contrazione negli ultimi 25 anni, alcuni comparti sono decisamente in sofferenza più di altri e non è casuale siano proprio quelli dove le retribuzioni sono inferiori e i carichi di lavoro (ad esempio sanità) maggiori.

 La confusione strategica allora regna sovrana e per questo si rende indispensabile una contronarrazione:

  • i salari pubblici italiani sono tra i più bassi d’Europa ma al contempo marcate restano le differenze stipendiale tra dipendenti e dirigenti. Gli organici sono in continua erosione;

  • la perdita di potere di acquisto è innegabile, il potere contrattuale è ridotto ai minimi termini;

  • la indennità di vacanza contrattuale è una miseria da sottrarre poi agli aumenti contrattuali trattandosi di una sorta di anticipo compensato dai futuri aumenti. L’istituto della vacanza contrattuale è servito a ridurre il potere di acquisto e di contrattazione e per sottoscrivere i CCNL mediamente con 3 anni di ritardo rispetto alla loro naturale scadenza;

  • le differenze retributive tra i vari comparti della PA sono il risultato di dinamiche contrattuali vecchie di anni costruite con continui rinvii alle specificità di comparto o al secondo livello di contrattazione. Si è persa per strada un’idea complessiva del servizio pubblico e con essa anche i principi di equità e giustizia che dovrebbero rafforzare il contratto nazionale senza deroghe e continui rinvii alla contrattazione di secondo livello;

  • ogni qual volta si parla di Pubblica amministrazione ci imbattiamo in una sorta di ipocrita giustizialismo tendente a ridurre alcuni istituti contrattuali presenti in determinati settori o a ridurre le risorse economiche collegandole direttamente all’incremento della produttività. Fatto sta che un dipendente degli enti locali, un ricercatore o un amministrativo, un operatore sanitario italiano oggi percepisce anche 400 euro in meno di un collega di altro paese UE;

  • destinare risorse crescenti alla previdenza e alla sanità integrativa resta un grave errore perché si depotenzia welfare universale, sanità e istruzione pubblica;

  • se guardiamo alla dinamica contrattuale degli ultimi anni, dalla pandemia in poi, i salari pubblici aumentano di circa 4 punti in percentuale in meno del privato, da qui dovrebbero scaturire ulteriori riflessioni sulla tendenza al ribasso delle retribuzioni pubbliche.

CUB Pubblico Impiego Toscana

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